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15 Marzo 2022Oggi è l’8 marzo, Giornata internazionale della donna. Ed io, che di solito vi racconto di 9REN, oggi ho pensato di rubarle uno spazio per raccontare la mia storia di donna, lavoratrice e madre.
Mi sono trasferita a Brescia nel 2019. Trentuno anni e un curriculum da content manager. Come tanti ragazzi, sono partita dal sud con l’idea che una volta arrivata, le porte del lavoro si sarebbero spalancate.
Un giorno fui contattata per un colloquio di lavoro presso una prestigiosa GDO. Cinquanta minuti di piacevole conversazione con il direttore e il responsabile marketing dell’azienda. Avevo raccontato del mio trasferimento al nord, del mio curriculum professionale, delle mie aspettative da lì ai prossimi 5 anni, pensando di aver fatto un’ottima impressione. Ma al termine del colloquio, il responsabile marketing con tono inquisitorio mi chiese “quindi lei si è trasferita qui con il suo compagno… quindi si sposa! E quindi, vuole avere figli?”. Silenzio. Non avevo accennato al matrimonio e non stavo programmando una gravidanza. Rimasi attonita senza capire cosa c’entrasse quell’affermazione con la mia professione e il mio futuro nel mondo della comunicazione. Risposi vagamente: “in un prossimo futuro immagino di creare famiglia” e subito dopo mi pentii di aver fatto quella confidenza. Ma c’era davvero qualcosa di strano nel volere conciliare famiglia e lavoro? Non mi richiamarono più.
Qualche settimana più tardi, per un’azienda multinazionale, fui convocata per un secondo colloquio. Questa volta il direttore, dopo aver domandato la mia età, mi disse “…una raccomandazione che faccio alle dipendenti in età fertile è di non programmare una gravidanza almeno per i primi due anni dopo l’assunzione, così da padroneggiare la propria mansione e garantire all’azienda un eventuale affiancamento in caso di turn over”. Insomma, un giro di parole che voleva più semplicemente dire: “se vuoi avere un figlio, non firmi il contratto”.
Delusa e sconcertata da queste esperienze, cominciai a pensare che a trentuno anni, in quanto donna, non fossi più competitiva nel mercato del lavoro. E in effetti non mi sbagliavo di molto: il tasso di occupazione delle donne (49%) in Italia è di 18 punti percentuali più basso di quello degli uomini (67,2%).
Poi arrivò il 2020 e il lockdown, e con questo le aspettative professionali sembrarono svanire del tutto. Ma un venerdì mattina, attraverso LinkedIn, un’azienda milanese mi contattò. Incontrai su Skype il managing director e il responsabile marketing. Qualche domanda per conoscere il mio curriculum, ma nessuna di queste sembrava scrutare la mia vita privata.
9REN mi offrì un contratto prestazione occasionale per un primo progetto. Lo smartworking dettato dalle contingenze storiche mi diede la possibilità di continuare a vivere a distanza di qualche chilometro la mia vita a Brescia.
Ma dopo qualche mese, scoprì di essere in dolce attesa. Ero tormentata da un ingiustificato senso di colpa nei confronti della azienda e di coloro che mi avevano dato fiducia senza chiedere di più. Mi vedevo davanti ad un bivio: da una parte il lavoro, dall’altra l’essere madre.
Decisi allora di chiamare il direttore. Raccontai la notizia e provai a spiegare come avrei potuto conciliare la mia vita privata e professionale, ma Max mi fermò, dicendo “a parte che non eri tenuta a dirmelo…comunque, è una bellissima notizia che non cambia i programmi che avevamo in mente e, a dirla tutta, dà ulteriore valore alla persona che sei”. Un mese dopo firmai il contratto a tempo indeterminato per 9REN.
Oggi sono una neomamma e una lavoratrice che sta percorrendo l’unica strada possibile, la propria vita. Continuo a lavorare a distanza, perché l’azienda sostiene con lo smartworking le famiglie e le donne che come me vivono lontane dalla sede di lavoro. E tornando alla domanda che fa da titolo a questo post, rispondo: sì, mi sento valorizzata e tutelata dalla mia azienda in quanto donna, e sento di voler dare il massimo per ricambiare la fiducia e il rispetto che mi viene dato.
Spesso le imprese parlano di innovazione e modernità, ma mantengono un sistema verticistico e tendenzialmente maschilista. 9REN è un’azienda che ha scelto di essere innovativa anche in questo: dedicando attenzione al capitale umano e promuovendo un modello di lavoro nel segno della condivisone e della pari opportunità.
Questo significa 9Ren People.